Il tempo: un doveroso richiamo al mondo classico
In gran parte delle discipline che fanno parte dello sport moderno sono le lancette dell’orologio a stabilire chi sia il vincitore: è così nei 100 metri piani (atletica leggera) o nei 400 metri stile libero (nuoto), nei 500 metri di pattinaggio su ghiaccio o in una tappa del Giro d’Italia di ciclismo.
Spesso non sono i minuti o i secondi, ma i decimi, i centesimi e addirittura i millesimi a decretare una vittoria o a stabilire un distacco. Non in tutte le discipline – è da sottolineare – è il cronometro a decidere le posizioni in classifica. Pensiamo ai concorsi di ginnastica (artistica e ritmica), alle gare di tuffi o agli incontri di pugilato: in quell’ambito sono i punti ad assolvere a questo compito. In altri casi ancora è invece lo spazio a dettare legge: nel salto vince chi si libra più in alto rispetto al limite stabilito dall’asticella o chi va più lontano rispetto allo stacco in pedana (nel salto in lungo e triplo) o, ancora, vince chi lancia il martello o il giavellotto il più lontano possibile, senza che siano le lancette a interferire.
È tuttavia del tempo che ci siamo presi l’impegno di parlare, non dello spazio, per cui è di questo che ci preme discorrere. E se è vero che la misura del tempo sia per noi (intesi come moderni) fondamentale e che non si possa fare a meno di seguire una gara di velocità nell’atletica o una qualsivoglia competizione di nuoto se non con il riferimento dello scorrere del tempo, non sempre è andata così. O, meglio, non in modo così esasperato. Facciamo un passo indietro (non nello spazio, come i gamberi, ma nel tempo...) e consideriamo le Olimpiadi antiche.
Pensiamo forse che ai Greci interessasse sapere il tempo esatto impiegato da Leonida di Rodi per sconfiggere i suoi avversari nelle tre diverse specialità (stadio, diaulo, corsa degli opliti) in cui trionfò in ben quattro edizioni consecutive (dal 164 al 152 a.C.) dei Giochi Olimpici? Sì, certo, la vittoria di un Leonida o di un Gorgo di Elide piuttosto che di un Astilo di Crotone risultava dal fatto che impiegavano meno tempo rispetto agli altri concorrenti a coprire una certa distanza. E su questo non ci piove.
Ma è anche vero che il tempo del vincitore (o degli altri concorrenti) non veniva registrato. Può essere illuminante al riguardo un episodio militare che ci giunge sempre dall’antica Grecia e che, a distanza di parecchi secoli, avrebbe interessato lo sport moderno. Ci stiamo riferendo alla celebre corsa compiuta da Fidippide da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria riportata dagli Ateniesi sui Persiani. Fidippide, inquadrato nell’esercito ateniese con la mansione di emerodromo (ovvero di «colui che corre per un giorno intero»), percorse quei terribili 42 chilometri nell’arco, appunto, di una giornata, salvo poi giungere
esanime ad Atene per lo sfinimento. Il tempo fatto registrare dal primo maratoneta della storia? Non pervenuto. La competizione sportiva che ne derivò dopo tanto tempo, la maratona appunto, si basa sul fondamento su cui poggia lo sport moderno: coprire una certa distanza nel minor tempo possibile. Questo non vuol dire che nel mondo antico non si badasse al tempo; semplicemente, vi si dava meno peso.
Scomodiamo ora due illustri autori, uno del mondo greco e l’altro di quello romano, per far comprendere come il tempo fosse da loro descritto. Cominciamo
dal greco Senofonte: in più punti dell’Anabasi lo storico si sofferma a descrivere quanti giorni impiegavano le truppe del re persiano Ciro nel compiere viaggi estenuanti attraverso deserti, foreste e pianure sterminate. E che dire di Cesare (passiamo dal mondo greco a quello latino), condottiero e in pari tempo scrittore, che descrive come per i soldati le giornate fossero organizzate in sezioni temporali da dedicare a turni di guardia, esercitazioni, battaglie, sortite in territorio nemico e via discorrendo?
E non è forse Cesare a narrare quanto i soldati romani fossero veloci ad allestire un accampamento? È vero che l’autore del De bello gallico non si sofferma a puntualizzare il tempo esatto impiegato, per esempio, per montare una tenda; si è ancora ben lontani dalle cronache dei Gran Premi di Formula Uno che ci riportano i secondi esatti impiegati dai meccanici per fare il cambio gomme ai box. La misurazione del tempo, tuttavia, non è una prerogativa né dei Romani, né, prima di loro, dei Greci. Ben prima, infatti, erano stati i Babilonesi a fare scuola in quest’ambito: è ai loro astronomi che si deve la divisione temporale in
ore di 60 minuti. Domanda: perché proprio 60 e non 100 o 50 e così via?
Semplice: la base 60 permette di facilitare i calcoli essendo divisibile per 2, 3, 4, 5, 6, 10. A distanza di millenni dai Babilonesi, il tempo diventerà
un aspetto fondamentale della società moderna e contemporanea. In tutti gli ambiti, compreso quello sportivo.
Luca Condini