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Dalle origini al Rinascimento


Lo sport è nato e cresciuto con l’essere umano, sotto forma di danza propiziatoria, di rito sacro o di movimento atletico ai fini della caccia o della sopravvivenza. Ha conosciuto civiltà predisposte all’attività fisica e alla sua spettacolarizzazione e civiltà che lo hanno condannato e rifiutato. A mano a mano che l’evoluzione del processo industriale ha consentito di ridurre il tempo di lavoro, si è venuto a determinare un tempo proporzionalmente crescente da destinare a occupazioni diverse, meno impegnative, ricreative: tra queste, lo sport. Nel corso dei secoli importanti figure della storia, filosofi, educatori, scienziati, si sono resi conto dell’importanza dell’educazione fisica sportiva, contribuendo ad ampliare le conoscenze relative alla sua utilità, creando scuole, discipline, centri di ritrovo.
 
La data di nascita dello sport non è certa. In età preistorica, quando i nostri antenati vivevano in prevalenza di caccia, l’attività fisica era strettamente legata alla sopravvivenza e gli uomini dovevano essere scattanti e atletici. Anche le danze rituali rappresentavano veri e propri esercizi ginnici e certo contribuivano a mantenere allenato e in esercizio il corpo.
Attorno al IV millennio a.C., presso le civiltà della Mesopotamia, l’attività fisica era legata ad espressioni di forza e di destrezza: il nuoto, l’equitazione, la lotta, erano discipline apprese per poi venir usate con profitto in guerra. Solo le classi governanti vi si dedicavano.
Alcune testimonianze dimostrano che verso l’anno 2700 a.C. i Cinesi si dedicavano ad attività sportive: all’imperatore Huang-Ti, nella Cina di due millenni a.C., si deve la diffusione del gioco con la palla e l’origine di molteplici variabili che presso tutti i popoli, ancora oggi, vengono praticate. Inoltre avevano grande importanza le danze e i giochi, spesso legati a cerimoniali religiosi, fatti per propiziare la fertilità e l’abbondanza.
Verso il 2500 a.C. in Egitto si praticavano la lotta e la scherma col bastone. Contemporaneamente in Persia e nel Tibet era diffuso il gioco del polo.
 

Lo sport nell’antica Grecia

Numerose furono nel mondo antico, sia in Oriente che in Occidente, le attività atletiche praticate con carattere ora sacrale, ora educativo, ora agonistico e militare. Ma fu in Grecia che lo sport assunse le caratteristiche di un fenomeno di larga diffusione, per alcuni aspetti simile a quello dei tempi moderni, sia per il numero e l’importanza delle competizioni, sia per la nascita dei primi casi di professionismo e «divismo» da parte degli atleti più celebri. Per i Greci la forza e la bellezza del corpo erano qualità molto apprezzate e davano prestigio quanto l’intelligenza e la generosità d’animo. Il filosofo Platone (428-348 a.C.) sostenne che la ginnastica avesse un ruolo decisivo per il benessere dell’uomo e che l’educazione fisica dovesse avere pari dignità di tutte le altre materie di studio.
In realtà, nella Grecia classica, tre motivi ispirarono il movimento sportivo: il primo, di carattere religioso, atteneva alla concezione ellenica dell’uomo come misura di tutte le cose, immagine vivente della perfezione degli dèi; il secondo, di carattere estetico, nasceva dal culto della bellezza e quindi del corpo come suo simbolo concreto; il terzo, di carattere funzionale, concerneva l’educazione militare della gioventù.
In tale clima i Greci organizzano le prime «Olimpiadi», giochi atletici così chiamati dal nome del santuario di Olimpia nell’Elide. È ormai certo che la prima Olimpiade avvenne nel 776 a.C. Le Olimpiadi avevano luogo ogni quattro anni nel plenilunio tra luglio e agosto, si protraevano per cinque giorni e possedevano un carattere di festa religiosa ed evento sportivo nazionali. Per tutta la durata dei giochi le discordie e le guerre venivano sospese e gli atleti greci gareggiavano nelle varie specialità con il più alto spirito sportivo. Nel corso di tutto il mese che precedeva l’inizio delle gare, gli atleti si allenavano per verificare la loro competitività e venivano selezionati da dieci giudici di gara.
Dalla prima alla tredicesima edizione non ci fu che una gara: la corsa veloce di circa 200 metri (stadeon). Successivamente lo svolgimento dei Giochi seguì un programma fisso: la prima giornata era dedicata alla cerimonia di apertura, nella seconda si disputavano le gare di corsa, nella terza gli sport di combattimento (pugilato, lotta e pancrazio – quest’ultimo era un tipo di lotta particolarmente violento in cui tutti i colpi erano praticamente consentiti), nella quarta si svolgevano gli sport equestri e nella quinta giornata si gareggiava il pentathlon, una gara composta da salto in lungo, lancio del giavellotto, corsa, lancio del disco e lotta. A quest’ultima disciplina partecipavano soltanto i due atleti che avevano ottenuto i migliori risultati in tutte le altre prove: un ultimo combattimento per un solo vincitore finale. L’ultima giornata era dedicata alla cerimonia di chiusura con la solenne premiazione.
 
Caduta dell’ideale sportivo greco; Etruschi e Romani
La specializzazione per la conquista degli allori olimpici e una graduale decadenza di costumi portarono, già ai tempi dell’antica Grecia, alla nascita del professionismo, alla quale contribuì anche la formula olimpica secondo cui, insieme con il vincitore della competizione, si onorava anche la città di cui egli era originario; agli atleti furono concessi gradualmente l’esenzione delle imposte, l’alimentazione a spese dell’amministrazione cittadina e ingenti premi in denaro. Nel 393 d.C., dopo 11 secoli e 293 edizioni, l’imperatore Teodosio, pressato dal vescovo di Milano Ambrogio, mise fine ai giochi in quanto rappresentazione di riti pagani.

Nell’Italia antica, l’attività sportiva non ebbe la ricchezza di motivazioni e di sviluppi mostrati in Grecia.

Gli Etruschi (VII-IV secolo a.C.) celebravano giochi sportivi per lo più in occasioni di cerimonie funebri, ma anche nell’ambito di spettacoli organizzati dalle comunità in concomitanza di solennità cittadine e di particolari eventi politici. Gli atleti si cimentavano in specialità come il lancio del giavellotto, il lancio del disco (con rincorsa), il salto in lungo, la corsa, il pugilato e le gare ippiche.
Tra i Romani, soprattutto in età repubblicana, le singole attività sportive erano praticate per esigenze militari: i giovani si allenavano al Campo Marzio e gli esercizi comprendevano l’equitazione, il tiro con l’arco, la lotta, il lancio del giavellotto, la scherma e la corsa con le armi. I Ludi, nati come celebrazioni in onore degli dèi, divennero grandi spettacoli di massa, nelle quali il popolo aveva l’opportunità di sfogare emozioni e impulsi violenti. I Ludi erano di tre tipi: quelli scenici, che si svolgevano in teatro, quelli gladiatori e quelli circensi (nell’immagine a sinistra, un vaso romano raffigurante il ludus gladiatorius). Questi ultimi s’imposero definitivamente in età imperiale; in essi la componente sportiva era relativa, in favore di quella violenta e spettacolare. Lotta, pugilato, pancrazio, scontri armati uomo contro uomo e uomo contro belva, nonché corse di bighe e quadrighe, erano le specialità più seguite, e alle gare potevano partecipare di solito schiavi e liberti.
 

Medioevo e Rinascimento

Nel 520 d.C. l’imperatore Giustiniano decretò la soppressione dell’ultimo grande agone pagano, le Olimpie di Antiochia.
Nel Medioevo la pratica sportiva faceva parte dei principi della cavalleria: alle sette arti liberali del curriculum universitario, erano contrapposte altrettante abilità fisiche che andavano acquisite mediante la corsa, il getto, la lotta, l’equitazione, la gualdana (finte battaglie simulate da giovani armati) il torneo e le giostre. A partire dal 1232 si hanno notizie dell’origine del Palio di Siena e alla fine del 1300 si diffusero il ludus pilae cum palma, progenitore del tennis, e la palla a corda.
Durante il periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, lo sport fu inteso con le sue caratteristiche attuali, cioè non più legato a presupposti di ordine etico-religioso. Nel XV secolo Leon Battista Alberti alla corte mantovana dei Gonzaga sostenne l’integrazione tra esercizi fisici e l’insegnamento delle scienze e dei classici; ancora presso Mantova, nel 1423, Vittorino da Feltre fondò, per ordine di Gianfrancesco Gonzaga, la cosiddetta Casa giocosa, in cui gli allievi, oltre che nelle lettere, venivano educati alla pratica dell’equitazione, dell’arco, della scherma e della lotta.  



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