Sport e comunicazione di massa
La crescente configurazione dello sport come divertimento e spettacolo, e quindi come rito sociale, iniziò già nell’Ottocento ad attirare l’attenzione delle nascenti comunicazioni di massa, in particolare del giornalismo, che ne era allora la manifestazione più rilevante. Se un foglio di argomenti esclusivamente sportivi era apparso in Inghilterra addirittura alla fine del XVIII secolo, è comunque al termine del XIX secolo che risalgono le iniziative giornalistiche più influenti, come quelle dell’italiana Gazzetta dello Sport, stampata dal 1896 nella caratteristica carta rosea. Nacque come bisettimanale nel 1896, divenne quotidiano nel 1913. L’apparizione della Gazzetta, costituì l’inizio di un fenomeno particolarmente rilevante per la cultura di massa in Italia. Nel corso del Novecento essa fu infatti seguita dalla pubblicazione di altri quotidiani sportivi (Stadio, Tuttosport, Corriere dello Sport) e di vari periodici (molto letti, specialmente negli anni cinquanta e sessanta, erano il Guerin sportivo e lo Sport illustrato), e dalla comparsa di pagine sportive, sempre piú curate ed estese, all’interno dei quotidiani di informazione. Per quanto riguarda in particolare la Gazzetta, il suo rapporto con il mondo sportivo è stato ed è tuttora duplice. Il giornale non si è infatti limitato a raccontare nelle sue pagine il fenomeno sportivo, ma ne è divenuto presto anche un fattore di propulsione, in quanto organizzatore del Giro d’Italia di ciclismo. Lo stesso avvenne in Francia fra il giornale sportivoÉquipe e il Tour de France.
Con la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione nel corso del Novecento, lo sport è diventato argomento privilegiato non solo del giornalismo, ma anche dei nuovi canali di informazione e di intrattenimento. Fra gli anni trenta e quaranta la radio ha svolto un ruolo importante nel diffondere in tutti gli ambienti sociali la radiocronaca delle imprese sportive. Prima che circolassero le immagini televisive, fu la radio a conferire un carattere epico agli avvenimenti (in particolare a quelli ciclistici dei tempi di Coppi e di Bartali) e a seguire con sistematicità i campionati di calcio professionistici.
Se il cinema non ha contribuito molto a diffondere le immagini sportive (con l’eccezione di alcuni film ufficiali dei giochi olimpici come: Olympia della regista Leni Riefenstahl, girato durante i giochi di Berlino del 1936, e Le Olimpiadi di Tokyo di Kon Ichikawa del 1964), un’enorme influenza ha invece avuto nell’ultimo cinquantennio la televisione, anche per la sua capacità di trasmettere gli avvenimenti nello stesso momento in cui avvengono. Un dato positivo per il pubblico è quello di poter assistere a un evento anche quando esso si svolge a grande distanza, mentre per coloro che gestiscono e praticano le discipline sportive, il vantaggio è quello di poter contare oggi su introiti, provenienti dai diritti di trasmissione pagati dalle reti televisive, decisamente superiori rispetto a quelli assicurabili dal pubblico pagante. D’altra parte la moltiplicazione degli eventi sportivi trasmessi dalla televisione determina una pressione economica che sta trasformando lentamente lo sport in un ramo dell’industria dello spettacolo, governato da considerazioni aventi a che fare piuttosto con il profitto economico che con i reali interessi dello sport.
I mezzi di comunicazione, dunque, hanno dato visibilità all’evento sportivo, lo hanno cioè "proposto" a moltissime persone, hanno reso possibile la registrazione dell’evento e la sua infinita, futura fruizione. Grazie ai mezzi di comunicazione il pubblico dello sport è aumentato in maniera esponenziale. Infatti, se un tempo era costituito per lo più da coloro che assistevano direttamente all’evento, oggi il pubblico dello sport è rappresentato anche dai milioni di lettori, ascoltatori radiofonici, telespettatori e "navigatori" della rete (cioè coloro che usano Internet, con cui è semplice raccogliere anche grandi quantità di dati - come statistiche, confronti, immagini e filmati storici, eventi - e immediato potervi accedere).
(brani da «Comprendere il movimento», pp. 22-23, a cura di Claudio De Boni)