Sport alternativi
articolo di Sara Rossi
Anche in Italia esistono moltissime realtà fatte di sport cosiddetti "alternativi"; discipline che, anche se sono nate in altri paesi, già contano praticanti appassionati, squadre affiatate, campionati nazionali che si disputano con regolarità. In questa rassegna ne presentiamo quattro: due si svolgono in piscina, uno predilige un’ambientazione naturalistica, tra boshi e sentieri, l’ultimo è stato particolarmente amato in occasione degli Giochi invernali di Torino. Ci sono altri sport alternativi di cui vorresti leggere qualche informazione? Scrivici!
Rugby subacqueo
La parola “rugby” rimanda subito alla mente l’immagine di un prato verde dove si fronteggiano trenta uomini – in una tenuta di gioco che dopo pochi minuti di gara tende ad assumere lo stesso verde del terreno – per il possesso di una palla ovale da portare faticosamente, metro dopo metro, in meta. Sudore, muscoli e fango dunque. Al contrario il termine “subacqueo” racchiude in sé il silenzio delle profondità marine, la calma dei gesti rallentati dall’acqua, portati a termine in uno sfondo blu.
Per questo l’unione di tali voci può legittimamente provocare un’iniziale espressione di stupore e far sorgere alcune domande più che spontanee sulla realizzabilità di un tale sport. Eppure da poco più di una quarantina di anni tali perplessità non hanno più motivo di esistere: nel 1961 in Germania, precisamente a Colonia, un tal Ludwin von Bermuda ebbe l’idea di approntare un nuovo tipo di riscaldamento per il suo club di immersioni marine.
Bermuda prese una normale palla da pallanuoto e la riempì con una soluzione di acqua e sale in modo da renderla abbastanza pesante da non farla galleggiare, poi ancorò al fondo della piscina una rete da pallavolo alta più o meno un metro e fissò alle estremità della vasca due canestri posti l’uno di fronte all’altro; lo scopo era quello di superare la rete e depositare la palla del canestro della squadra avversaria. Il primo abbozzo del futuro rugby subacqueo venne così alla luce.
Il “bizzarro” allenamento ideato da Bermuda piacque tanto che si diffuse rapidamente anche alle altre squadre di immersione di Colonia per poi essere esportato nel resto della Germania. Divulgandosi di città in città e coinvolgendo un numero sempre maggiore di partecipanti, il rugby subacqueo iniziò anche ad assumere l’aspetto con cui viene praticato oggi: i canestri vennero mantenuti, ma scomparve la rete a metà campo. Dal 1978 è sport riconosciuto dalla CMAS – Confederazione Mondiale Attività Subacquee – e prevede l’organizzazione di campionati nazionali, di mondiali e di europei (questi si alternano ogni due anni).
In Italia è giunto nel 1998, a Firenze, dove dopo una prima fase amatoriale è stata fondata la prima squadra italiana di rugby subacqueo, la Firs (Firenze Rugby Subacqueo); in seguito si sono affiancate le squadre di Roma, Bologna, Avellino e Napoli. Dopo il riconoscimento della FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquea) nel 2002, è stato possibile realizzare un campionato italiano di rugby subacqueo: il primo si è svolto nel 2003 a Firenze. Nel capoluogo toscano si è giocato anche il primo torneo internazionale. Nel 2005 sono nate le Nazionali italiane maschili e femminili, che hanno partecipato agli europei.
REGOLE
Il rugby subacqueo si gioca in una piscina profonda dai 3,5 m ai 5 m, lunga 15 m e larga 10. Le squadre sono costituite da 11 giocatori: 6 in acqua e 5 pronti a subentrare nel corso della partita, le sostituzioni – da effettuarsi esclusivamente a gioco fermo – non sono definitive. L’attrezzatura degli atleti è costituita da: maschera e boccaglio, pinne (che non devono superare i 60 cm di lunghezza) e calottine numerate con paraorecchie. Il tempo di una partita è stabilito solitamente in due tempi da 15 minuti ciascuno di gioco effettivo, anche se spesso nei tornei internazionali, dove sono previste anche più partite nell’arco della giornata, si sceglie di ridurre la durata dell’intero incontro a 15 minuti.
Il gioco si sviluppa tridimensionalmente – il solo limite è che la palla non può uscire dall’acqua – e i giocatori possono applicare qualunque tattica per depositare la palla nel canestro dell’avversario, tranne strattonare gli avversari o trattenerli attaccandosi all’attrezzatura. Il solo giocatore che può essere attaccato fisicamente è il portatore di palla avversario, che però può liberarsi di qualunque tipo di marcatura lasciando andare l’ovale. Questa regola non solo permette di disciplinare il gioco, ma soprattutto garantisce che un qualunque atleta in debito d’ossigeno non incontri ostacoli alla risalita in superficie.
In ogni caso in RS nasce principalmente come gioco di resistenza, tattica e di strategia, più che di potenza fisica e forza: non è un caso, infatti, che vi sia la possibilità di far giocare squadre miste di uomini e donne. Tre sono gli arbitri preposti a vigilare sul corretto svolgimento dell’incontro: due, dotati a loro discrezione di muta e bombole d’ossigeno, sono sott’acqua insieme ai giocatori per meglio valutare le varie situazioni del match, mentre l’altro (il capo arbitro) segue la partita da bordo vasca.
E il pubblico? Due sono le possibilità per poter seguire la gara: o ci si accomoda comodamente a bordo vasca e si seguono le azioni da un maxischermo montato vicino alla piscina, oppure ci si arma di costume, maschera e boccaglio e si scende in acqua in un’area a lato del campo di gara.
Canoa polo
Negli anni Settanta alcune squadre tedesche e inglesi di canoisti pensarono di variare il loro programma di allenamento invernale per renderlo più divertente e meno ripetitivo.
Decisero così di dividersi in due gruppi e scendere in acqua sulle loro canoe in un campo da pallanuoto e di sfidarsi a realizzare più gol possibili all’avversario usando sia le pagaie che le mani per colpire il pallone. Come per il rugby subacqueo il nuovo sistema d’allenamento prese tanto piede da divenire ben presto uno sport autonomo a tutti gli effetti, esportato in tutta Europa e approdato in Italia – sotto il patrocinio della FICK , Federazione Italiana Canoa e Kayak – nel 1984.
REGOLE
La canoa polo è un gioco molto veloce, con rapidi capovolgimenti di fronte, energico e al contempo tattico. Ad esempio fondamentale è il ruolo del portiere, che non solo deve garantire una sicurezza in difesa deviando quanti più palloni possibili dallo specchio della porta, ma per di più deve assicurare un contributo fondamentale in fase d’attacco. Il portiere non è infatti vincolato ad agire sulla linea di porta ma è anche spesso il terminale di ogni azione d’attacco: facendo un paragone calcistico è contemporaneamente estremo difensore e centravanti. Gli schemi di gioco diventano pertanto fondamentali per non lasciare eccessivamente sguarnita la propria porta.
Le regole sono piuttosto semplici: si gioca su uno specchio d’acqua di forma rettangolare, le cui dimensioni siano di 35 m di lunghezza per 23 m di larghezza, ai cui lati corti vengono posizionate le porte. Le squadre sono composte di 5 elementi ciascuna, con tre riserve pronte a subentrare a un compagno in qualsiasi momento della gara: per facilitare le operazioni di cambio i tre stazionano in una zona a loro riservata dietro la porta della propria squadra, al di là della linea di fondo campo.
La lunghezza delle canoe utilizzate deve essere compresa tra i 2,1 m e i 3,1 metri e la punta e la coda deve essere munita ci una protezione morbida per limitare i danni in caso di scontro tra più imbarcazioni. I giocatori devono scendere in acqua muniti di un corpetto protettivo e di un casco fornito di griglia a difesa del volto. Scopo del gioco è quello di realizzare più gol degli avversari centrando con la palla una porta larga 1 m e alta 1 m e mezzo sospesa a 2 m sopra il pelo dell’acqua (le iniziali porte da pallanuoto furono ben presto sostituite) e difesa da un portiere che utilizza l’intera lunghezza della pagaia per respingere i tiri degli avversari.
Quando la canoa polo arrivò in Italia venne deciso che la palla poteva essere colpita esclusivamente con la pagaia – le mani potevano al massimo servire per alzarsela e facilitare così il colpo – regola che venne ratificata nel 1986 dalla FICK con la redazione del primo regolamento codificato di questo sport. Dato che solo in Italia valeva questa regola, mentre nel resto d’Europa la palla veniva giocata indifferentemente sia con le mani che con la pagaia, venne coniato il termine di stile italiano per identificare questo modo di giocare. Quattro anni dopo la diffusione del regolamento unificato della canoa polo a livello europeo nel 1988, anche l’Italia si uniformò sancendo così la scomparsa dello stile italiano a partire dal campionato del 1993. Oggi in Italia vengono regolarmente disputati i campionati di serie A1, A2 e B per gli uomini, di serie A1 e A2 per le donne, mentre per gli under 21 è prevista come unica serie l’A1. Anche la nazionale italiana sta iniziando a ottenere grandi risultati e il secondo posto ai Mondiali di Amsterdam del 2006 ne è l’esempio più concreto.
Orienteering
Bussola e carta topografia, ecco gli strumenti indispensabili per chi voglia avvicinarsi all’Orienteering, disciplina di origine scandinava che vede nei boschi la sua naturale collocazione e che vanta 3000000 di praticanti nel mondo. Ma che cosa è l’Orienteering? Si tratta è essenzialmente una prova di orientamento, in cui l’atleta deve seguire un percorso indicato su una cartina topografica realizzata appositamente per questo sport, con segni convenzionali unificati in tutto il mondo.
Lo scopo del partecipante è quello di individuare il percorso più breve per raggiungere i vari punti di controllo indicati dalla cartina – disposti secondo una sequenza da rispettare categoricamente – segnalati da un indicatore denominato “lanterna” dove si trova un punzone con cui marcare il cartellino consegnato all’inizio della gara per dimostrare poi all’arrivo il compimento dell’esatto percorso. Vince chi percorre l’intero percorso nel minor tempo possibile.
REGOLE
Per le caratteristiche e le regole di questo sport non è sufficiente per vincere essere dei buoni corridori, perché fondamentale per ottenere il miglior tempo è la capacità di orientarsi e fare le scelte di percorso migliori per spostarsi da una lanterna all’altra. Per questo chi conta più sulle sue doti atletiche tende a non allontanarsi dai sentieri segnati, mentre coloro sanno di disporre di un buon senso d’orientamento preferiscono addentrarsi anche nel bosco per tagliare il percorso e impiegare meno tempo.
L’origini di questa disciplina risalgono al 1897 in Norvegia, dove fu ideato per la prima volta, e da dove si diffuse prevalentemente nel Nord Europa. In Italia è stato importato nel 1974, quando in Trentino (Val di Non) venne disputata la prima gara ufficiale. L’Orienteering è praticabile durante tutto l’anno ed è diffuso anche a livello amatoriale per chi vuole passare una giornata all’aria aperta, fuori dal caos cittadino.
Oltre all’originaria corsa d’orientamento a piedi, L’Orienteering vanta altre 3 categorie: - mountain bike orientamento: percorso da coprire in sella a una mountain bike senza la possibilità di abbandonare i sentieri segnati; la cartina viene fissata su di un leggio montato sul manubrio della bicicletta - lo sci d’orientamento: l’attrezzatura è quella di una gara di sci di fondo.
Il concorrente deve districarsi nella ragnatela delle piste seguendo la cartina, posta su un leggio fissato al petto da delle bretelle, e raggiungere i vari punti di controllo - l’orientamento di precisione: richiede doti di attento cartografo: il concorrente deve riconoscere esattamente il punto dove si trovano le lanterne rispetto alla cartina in dotazione e segnarlo sul proprio testimone di gara. Non è importante il tempo impiegato, quanto la precisione con la quale si individuano i punti sulla carta. La scelta di percorsi percorribili anche con carrozzine e l’ininfluenza del tempo impiegato permette la partecipazione anche agli atleti con difficoltà di movimento.
Curling
L’Olimpiade di Torino ha fatto entrare nelle case degli italiani un gioco in realtà molto antico, le prime testimonianze risalgono alla Scozia e all’Olanda del XVI secolo, ma in Italia ancora poco conosciuto: il curling. Le immagini di Joel Retornaz e della sua squadra azzurra hanno scatenato la curiosità di un paese che al bar si ritrovava per parlare non solo del rigore negato alla propria squadra, ma di come funzionasse quello strano gioco simile alle bocce, ma praticato sul ghiaccio invece che sulla sabbia. Parole come stones, hause, e rink hanno riempito i commenti a quelle giornate torinesi. A distanza di un anno il curling continua ad esistere, anche se i riflettori dei media si sono spenti; proviamo a rinfrescarci le idee e rivivere le gesta degli atleti che “spazzano” il ghiaccio.
REGOLE
Il curling è uno sport di squadra simile alle bocce, ma giocato sul ghiaccio con delle pesanti pietre (fino a 20 kg) di granito levigato chiamate stones, diffuso soprattutto in Inghilterra, Scandinavia, Canada – paese con il maggior numero di praticanti – e Stati Uniti. Il rink, o campo da gioco, è una lastra di ghiaccio lunga 44,5 m e larga 4,75 metri, con disegnate alle due estremità due bersagli – hause – con il raggio di 1,88 m ciascuno.
Al centro del bersaglio – formato da tre anelli concentrici di colore rispettivamente blu, bianco e rosso – è presente il tee, o centro del bersaglio, individuato dal punto di intersezione della center line, che divide il campo a metà longitudinalmente, e la tee line, posta a circa 4,9 m dal fondo della pista. Sul rink a 11, 3 m a partire dal lato corto vengono individuate da entrambi i lati le hog lines, che costituiscono il primo confine da superare in un lancio perché la stone venga considerata valida. L’immagine a destra mostra le aree del campo e le principali fasi di gioco (da www.curling.it).
Si affrontano due squadre per volta, il cui scopo è quello di sistemare il maggior numero possibile di stone il più vicino possibile al tee. I quattro giocatori di ogni squadra effettuano due lanci ciascuno e vengono definiti dal loro ordine di lancio: il primo a lanciare è detto lead, il secondo second, third il terzo e per ultimo lancia lo skip che è anche il capitano della squadra. Lo skip ha il compito di coordinare la strategia di lancio indicando al lanciatore la direzione e la forza da imprimere alla stone. I due componenti non al lancio sono addetti alla delicata operazione dello sweeping: devono, cioè, spazzare il ghiaccio immediatamente davanti alla stone cercando di indirizzarla secondo la volontà dello skip.
Il ghiaccio, già livellato al massimo e preparato con uno spruzzo di acqua nebulizzata che contribuisce a diminuirne ulteriormente l’attrito, scaldato dall’azione combinata delle due scope si scioglie momentaneamente favorendo la diminuzione dell’attrito e quindi della decelerazione della stone imprimendole anche una traiettoria più rettilinea. Quando a lanciare è lo skip il suo ruolo viene assunto dal third, detto anche viceskip. Una partita è costituita dalla successione di 10 end, o mani.
A ogni end tutti i giocatori devono aver lanciato entrambe le stones in loro possesso; terminati tutti i lanci si passa a stabilire chi si sia aggiudicato l’end: la squadra che ha piazzato la stone più vicina al tee riceve un punto per ogni stone che sia a una distanza minore dal bersaglio rispetto alla più vicina stone avversaria. Per ogni end va a punto solo una squadra, quella che non consegue alcun punto lancerà per seconda nell’end successivo in modo da avere il vantaggio dell’ultimo lancio, detto anche hammer.
Per lanciare la stone il giocatore si dà normalmente una piccola spinta usando la staffa – o hack, posta vicino al fondo pista, a cavallo della center line, costituisce un punto d’appoggio per il piede durante il tiro – per scivolare verso la hog line a lui più prossima, punto in cui deve rilasciare la stone.
Perché il lancio sia valido è necessario che la stone oltrepassi l’altra hog line. Durante il lancio la stone viene fatta ruotare e poi rilasciata: quando la maniglia ruota verso il corpo del lanciatore il lancio è detto in-turn, al contrario se ruota verso l’esterno è chiamato out_turn. La scelta del tipo di lancio determina la l’effetto laterale impresso alla stone, visibile soprattutto alla fine della sua corsa quando piega con più evidenza a destra o sinistra.
Nonostante il curling abbia origini molto antiche e sia stato sport olimpico dal 1924 al 1932, per poi scomparire e tornare a essere disputato sotto l’egida dei cinque cerchi a Nagano nel 1998, è praticato con costanza in Italia solo dal 1952, soprattutto grazie all’opera di Cortina d’Ampezzo, e quello a Torino è stato l’esordio olimpico per la nazionale italiana.