La motivazione sportiva e il ruolo degli allenatori
Di Matteo Simone
La ricerca sulla motivazione alla pratica sportiva da parte dei giovani si è sviluppata a partire dalla seconda metà degli anni ’70 soprattutto attraverso le ricerche a cura di Alderman e Wood (1979) e di Sapp e Haubenstricker (1978).
In realtà entrambi (1) fanno riferimento a un precedente modello di Birch e Veroff (1966), che hanno individuato sette sistemi di incentivi/motivi che regolano il comportamento degli esseri umani:
- affiliazione: opportunità di stabilire relazioni interpersonali significative e di essere confermati nella propria capacità di stare in gruppo e di fare e mantenere amicizie;
- potere: opportunità di influenzare e controllare gli altri;
- indipendenza: opportunità di fare cose senza l‟aiuto di altri;
- stress: opportunità di svolgere attività eccitanti;
- eccellenza: opportunità di acquisire abilità sportive per il proprio interesse: primeggiare su un altro;
- successo: opportunità di acquisire prestigio, approvazione sociale, status e altri rinforzi estrinseci;
- aggressività: opportunità di dominare gli altri.
Da questa ricerche, che ha coinvolto circa 3.000 ragazzi dagli 11 ai 18 anni, è emerso che, indipendentemente dall’età, dal genere e dallo sport praticato, i motivi che si trovano alla base della scelta di praticare una disciplina sportiva sono il bisogno di fare amicizia (l’affiliazione), di esprimere le proprie abilità sportive (l’eccellenza), di affrontare situazioni eccitanti per tentare di superarle (lo stress).
La ricerca successiva, realizzata da Sapp e Haubenstricker (2), svolta su 2.000 atleti e con l’obiettivo di studiare anche le ragioni dell’abbandono dell’attività sportiva, ha dimostrato che, oltre all’acquisizione di competenza e all’affiliazione, è emersa, come motivazione rilevante, anche la variabile che si riferisce al desiderio di mantenere una buona forma fisica. Quindi le motivazioni dominanti alla partecipazione sportiva sono: il desiderio di mantenere una buona forma fisica, l’acquisizione di abilità sportive, la possibilità di divertirsi e quella di intrattenere nuove amicizie.
Inoltre è emerso che il motivo principale che spinge ad abbandonare la pratica sportiva è costituito dal desiderio di intraprendere altre attività, dalla necessità di entrare nel mondo del lavoro. Mentre i più giovani abbandonano per problemi di tipo relazionale con allenatori o compagni, per mancanza di divertimento e noia, eccessiva enfasi degli aspetti competitivi ed infortuni.
Dai risultati dello studio di Gill, Gross e Huddleston (3), condotto su campioni di 720 ragazzi e 418 ragazze tra gli 8 e i 18 anni praticanti diversi sport, è emerso che la motivazione che è apparsa maggiormente determinante che spinge ambedue i sessi a scegliere un'attività sportiva è legata allo sviluppo e al miglioramento delle proprie abilità sportive. Da ciò emerge che i giovani praticano sport per un insieme di motivi che hanno come riferimento l’amicizia, il divertimento, il desiderio di confrontarsi, ma che la ragione principale che deve essere soddisfatta è quella relativa al miglioramento delle loro competenze sportive e di arrivare a buoni livelli.
Gli autori hanno poi analizzato le singole ragioni al fine di ottenere otto fattori rappresentativi delle categorie generali della motivazione allo sport:
- Riuscita/status: desiderio di vincere, di migliorare il proprio status, di essere importanti e popolari;
- Squadra: desiderio di far parte di una squadra;
- Forma fisica: mantenere e curare l’aspetto fisico;
- Spendere energia: scaricare le tensioni attraverso il movimento;
- Rinforzi estrinseci: da parte di persone significative che sostengono la motivazione;
- Sviluppo delle abilità sportive: sviluppare, allenare e migliorare le abilità sportive;
- Amicizia: necessità di fare amicizie e stare in compagnia; divertimento, comprende il piacere tratto dall’azione ed il desiderio di eccitamento.
Atleti motivati intrinsecamente
Si compie un’azione perché motivati dal piacere che procura l’attività in cui si è impegnati. Spinta interiore che sostiene il desiderio di fare bene e l’impegno in un’attività dalla quale si trae soddisfazione per ciò che si fa e per come lo si fa. L’atleta sarà più concentrato rispetto ai suoi compagni sia sui suoi obiettivi che su quelli della squadra, non ci sarà bisogno di uno stimolo continuo da parte dell’allenatore, ciò che fa è il modo per appagare un suo bisogno.
Lo sport in questo caso può essere visto come il modo per sentirsi realizzato raggiungendo una meta importante per se stessi ponendosi continuamente nuovi limiti e superandoli per arrivare al più alto grado di eccellenza. La forza di questo tipo di motivazione è tale che si può ipotizzare una maggiore facilità di gestione delle difficoltà, di eventuali infortuni ed incomprensioni con l’allenatore o compagni.
Queste saranno considerate solo come piccoli e temporanei ostacoli da aggirare nel tempo più breve possibile e comunque non distoglieranno l’atleta dal portare a termine il suo compito.
La motivazione intrinseca ti aiuta a superare le zone asciutte nella tua carriera e mantiene l'accento sul divertimento.
Atleti motivati estrinsecamente
In questo caso il comportamento sembrerebbe maggiormente mosso dal bisogno di raggiungere una approvazione esterna piuttosto che verso la soddisfazione di un bisogno individuale.
In questo caso l’individuo ha bisogno di continui rinforzi, positivi o negativi, da parte di altre persone per portare avanti la sua attività. La motivazione può venire dal di fuori, come la motivazione per vincere medaglie, ricevere ricompense finanziarie, e attirare l'attenzione dei media.
Questi rinforzi possono essere di natura materiale o psicologica e sono chiamati appunto ricompense estrinseche.
È molto più importante avere un’alta motivazione intrinseca che un alto contenuto di motivazione estrinseca. La motivazione estrinseca è efficace solo quando la motivazione intrinseca è elevata.
Essere determinati esclusivamente da motivazioni estrinseche non è psicologicamente sano, perché la mancanza di ricompense intrinseche può portare a smettere.
- Gli atleti che sono prevalentemente intrinsecamente motivati spesso non hanno la spinta competitiva per diventare campioni. Essi tendono a godere di padroneggiare i compiti che compongono la loro disciplina scelta, ma non hanno una forte vena competitiva nella loro personalità.
- Gli atleti che sono prevalentemente estrinsecamente motivati tendono a scoraggiarsi quando sperimentano un calo di forma.
- Gli atleti che hanno i migliori risultati per il successo presentano un equilibrio tra motivazione intrinseca ed estrinseca, tendono ad essere sia estrinsecamente ed intrinsecamente motivato.
- Gli allenatori devono essere consapevoli che la promozione delle motivazioni intrinseche realizza i migliori risultati psicologici per i bambini.
Molti genitori sono responsabili del fatto che i loro figli abbandonano prematuramente lo sport per tale enfasi sulla conquista della vittoria a discapito della partecipazione come solo divertimento. Allenatori e genitori devono lavorare insieme per creare un clima positivo motivazionale per i giovani atleti.
Il clima motivazionale può essere orientato alla prestazione, il che significa incentrato sul confronto sociale e vincente o padronanza oriented, il che significa concentrarsi su obiettivi di auto-referenza e sentimenti di competenza. I giovani atleti hanno bisogno di tempo per padroneggiare appieno le tecniche applicate nel loro sport, senza la pressione di vincere. Un allenatore si occupa di persone, del loro rendimento sportivo come singoli e come squadra, è deputato all’educazione innanzitutto, ad un corretto stile di vita che è quello sportivo.
Per questo deve prima di tutto mostrare correttezza negli appuntamenti, negli impegni. Deve ottenere una condivisione di obiettivi personali e di squadra, identificare le motivazioni, saper gestire lo stress in allenamento ed in competizione, modulare i carichi di lavoro, comunicare feedback con i propri atleti o squadra, essere disponibile ad accogliere domande, dare spiegazioni su particolari esercizi, tecniche, modalità di lavoro.
L’allenatore deve sapere costituire gruppi di allenamento sia per sport singoli che di squadra, sapersi relazionare con figure che gravitano intorno al mondo degli atleti. Considerare che la formazione non finisce mai, c’è sempre qualcosa da apprendere, da conoscere, da cambiare. L’allenatore deve saper essere un buon leader sapendo valutare come comportarsi con le diverse persone ed i diversi contesti.
(1) Alderman R.B., Wood N.L., An analysis of incentive motivation in young Canadian athletes, Canadian Journal of Applied Sport Sciences, 1976, 1(2) pp. 169-175.
(2) Sapp M., Haubenstricker J., Motivation for joining and reasons for not continuing in youth sports programs in Michigan, Relazione presentata al congresso dell’American Alliance for Health, Physical Education and Recreation (AAHPER), Kansas City, Missouri,1978.
(3) Gill D.L., Gross J.B., Huddleston S., Partecipation Motivation in Youth Sport, International Jourmal of Sport Psychology, 1983, 14, pp.1-14.
Matteo SIMONE
Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
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