A 42 anni dal magico Mundial
Era cominciata male l’avventura della nazionale italiana al Campionato Mondiale (o Coppa del Mondo, come dir si voglia) del 1982. Reduce da un ottimo quarto posto nell’edizione precedente dei Mondiali, quelli disputati in Argentina nel 1978, gli azzurri avevano deluso tifosi e addetti ai lavori in occasione del Campionato Europeo del 1980, giocato fra le mura di casa. Anche qui si era trattato di un quarto posto finale, ma le aspettative della vigilia erano decisamente diverse.
Prima dell’inizio del Mondiale spagnolo, la nostra nazionale affronta a Braga una sorta di provino con una squadra portoghese di serie B: alla fine dell’incontro, il presidente della federazione italiana Federico Sordillo sbotta così: «Se questa è la squadra, ma spero che non lo sia, possiamo tornare a casa». Ben più irruente, come secondo copione, la reazione del presidente della Lega calcio, Antonio Matarrese, che minaccia di prendere a calci qualche giocatore. Non hanno poi tutti i torti: la squadra esprime un gioco scialbo e poco incisivo, dando un’immagine di sé ben distante dalle prestazioni luminose e briose offerte quattro anni prima in Argentina.
Suona strano: il valore dei giocatori schierati dal commissario tecnico Enzo Bearzot è di tutto rispetto, con individualità di indubbio valore. Eppure, il gioco non ingrana, i gol del centravanti titolare, Paolo Rossi, non arrivano e, di conseguenza, le critiche si fanno sempre più ingenerose, alimentando un clima già incandescente. L’apice si raggiunge quando la stampa chiede addirittura le dimissioni di Bearzot, che difende, ricambiato, i suoi giocatori. Le deludenti prove nel girone eliminatorio disputato a Vigo, nel nord della Spagna (tre pareggi in altrettante partite: 0-0 con la Polonia, 1-1 con il Perù, ancora 1-1 con il Camerun), fruttano comunque il passaggio al turno successivo.
La qualificazione viene raggiunta per il rotto della cuffia, soltanto grazie alla differenza reti. Lo scontro fra giornalisti da una parte e Bearzot e giocatori
dall’altra si fa così marcato e aspro, da far decidere a questi ultimi di chiudersi in silenzio stampa. A comunicare con i media sarà una sola persona: il capitano azzurro, Dino Zoff. Si va al secondo turno: si tratta di quattro gironi di tre squadre ciascuno. Ad accedere alle semifinali saranno le nazionali vincitrici dei rispettivi gruppi. All’Italia, inserita nel gruppo 3, toccano in sorte due nazionali sulla carta insuperabili: l’Argentina, campione del mondo in carica, e, soprattutto, la nazionale favorita per la vittoria finale, il Brasile. Entrambe le partite saranno ospitate dallo stadio “Sarrià” di Barcellona.
Andiamo per gradi. Il 29 giugno, contro l’Argentina, Bearzot decide di schierare Claudio Gentile in marcatura su Diego Armando Maradona: il risultato è che la stella avversaria non si rende mai pericolosa, e questo si ripercuote sul gioco offerto dagli argentini. Al 57’ segna Marco Tardelli, dieci minuti più tardi raddoppia Antonio Cabrini. A 7 minuti dal fischio finale, accorcia le distanze il capitano argentino Daniel Passarella, su calcio di punizione.
Bearzot, pur soddisfatto della vittoria, va su tutte le furie per quel gol subìto. E spieghiamo il perché. Tre giorni dopo, il 2 luglio, il Brasile affronta l’Argentina e la sconfigge col punteggio di 3-1: un gol in più nella differenza reti rispetto all’Italia sta a significare che ai brasiliani sarà sufficiente un pareggio nel confronto con l’Italia (partita prevista il 5 luglio) per superare il girone e approdare in semifinale.
La nazionale sudamericana, che vuole la vittoria non accontentandosi del pareggio, si sente già in semifinale: la mattina di Italia-Brasile, nell’hotel in cui alloggia la stampa italiana, viene affisso un cartello con questo messaggio: «Il pullman che accompagnerà i giornalisti all’ALLENAMENTO del Brasile contro la squadra italiana partirà per lo stadio Sarrià alle 15.30». Il cosiddetto “allenamento” farà piangere i brasiliani, che affrontano la sfida con sufficienza. La tripletta di Paolo Rossi, finalmente risvegliatosi da un lungo letargo, proietta gli azzurri in semifinale, dove ad attenderli è la Polonia.
Si gioca sempre a Barcellona ma in un altro stadio: dal Sarrià si passa al Camp Nou. A regolare la pratica è sempre Paolo Rossi, ormai per tutti Pablito, autore di una doppietta. Conosciamo tutti come si è conclusa la finale di Madrid: l’11 luglio di quarantadue anni fa, allo stadio Bernabeu, con il presidente della Repubblica Sandro Pertini in tribuna, gli azzurri sconfiggono 3-1 la Germania Ovest (reti azzurre di Paolo Rossi, Tardelli e Altobelli) e sollevano la Coppa del Mondo.
È il più dolce degli epiloghi: una favola iniziata male e finita nel migliore dei modi possibili.
Luca Condini