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30 agosto 2015. Azzurri a Pechino, un disastro senza precedenti


Pechino Desolazione e preoccupazione: con un ridicolo bottino di 0 medaglie, 4 finalisti, 12 eliminazioni su 15 al primo turno, l'Italia dell'atletica è reduce dai Mondiali 2015 con le ossa rotte e il morale a pezzi. Peggio di così non poteva andare: è stato il peggior Mondiale della storia per l’Italia dell’atletica leggera. 


Iniziamo ad analizzare la situazione con le parole di Alfio Giomi, Presidente della Fidal, come tutti molto severo nella disamina della spedizione azzurra in terra cinese: «Un’analisi più approfondita sarà da fare a freddo, ma, lo dicono i numeri: è il peggior Mondiale della nostra storia, un Mondiale profondamente deludente non solo per i risultati che sono emersi, ma per l’atteggiamento mentale che in troppi hanno avuto.


È stato un Mondiale senza alcuni dei nostri numeri uno, fermati dagli infortuni, e in cui, a parte poche eccezioni, è mancato quello spirito, quel volersi battere al meglio delle proprie possibilità, che avevo richiesto alla squadra. Molti sono rimasti purtroppo lontani dalle loro effettive capacità e dai loro valori stagionali. Non voglio finire il quadriennio con rimpianti. I conti li faremo all’Olimpiade e nonostante il momento voglio cercare di essere ottimista. Non dobbiamo arrenderci.


È indiscutibile il fatto che questi risultati ci debbano far riflettere perché sono un passo indietro clamoroso rispetto a quanto di buono si era visto fin qui in questa stagione. Gli interrogativi ora sono molti, ma le risposte potranno essere diverse: non si può mettere tutto sullo stesso piano».


È interessante anche l'analisi del Direttore Tecnico Massimo Magnani «C’è delusione, frustrazione. L’obiettivo era che gli atleti uscissero dal campo a testa alta, pochi lo hanno fatto. E chi ha fatto male ha oscurato chi ha fatto bene. Agiamo in un contesto in cui gli allenatori non sono quasi mai professionisti, anche quando si occupano dell’alto livello. Non voglio ridurre a questo il tema, ma l’80% dei nostri tecnici non sa l’inglese: cosa studia e come si aggiorna? Ho l’onore e l’onere di rispondere dei risultati e il primo compito è far capire ai miei interlocutori quali sono gli errori.


Servirà un maggior controllo sistematico. Presenterò un progetto e, nel caso, mi muoverò di conseguenza. Se il Presidente dovesse valutare che devo andare a casa, lo farò: non sono legato alla poltrona. In ogni caso, per alcuni atleti, Pechino 2015 rappresenta la fine della parabola dell’attività internazionale, dovranno prenderne atto. Guardiamo avanti, guardiamo alle tante Folorunso che abbiamo in squadra: l’ho voluta per dare un segnale, ha corso forte e ha trasmesso entusiasmo».


A proposito di allenatori e tecnici, così continua Giomi: «Siamo già attivati per potenziare il settore tecnico con la ricerca di altri allenatori italiani e stranieri. Sarà importante chiarire sempre di più le idee con gli atleti e le loro società. In tal senso abbiamo già in programma da tempo un incontro di programmazione a fine ottobre. Insieme al Coni sarà inoltre importante approfondire la ricerca su aspetti medici e biomeccanici. Senza dimenticare il confronto con le altre Nazioni, penso ad esempio al Canada che a Pechino ha dimostrato di aver fatto un grande lavoro. Così come il nuoto azzurro che riesce a fare tutto.


In tal senso ho intenzione di incontrare al più presto il presidente Barelli. Sandro Damilano è il miglior tecnico mondiale della marcia, come Gigliotti nella maratona Gianni Ghidini lavora già da tempo con un bel gruppo di nostri mezzofondisti under 23. Bisogna far crescere atleti e tecnici insieme. Non è accettabile che gli atleti si allenino a casa loro: l’idea che tu possa allenarti a casa è perdente, perché ci si isola. Su questo bisogna fare un percorso insieme anche alle società».


La crisi dell'atletica sta coinvolgendo tutti: i gruppi militari (il cui stipendio fisso agli atleti fa gola e permette poco ricambio), i tecnici (che spesso preferiscono andare a lavorare all'estero), gli atleti stessi (demotivati e privi di società in grado di supportarlo, o semplicemente fuori condizione, fisicamente mediocri), dirigenti e politici.


In una nazionale di 33 persone (con due riserve e un infortunato, Fassinotti) almeno la metà degli atleti non era assolutamente in condizione della metà non aveva idea di dove fosse e se il problema è la mentalità ce la trasciniamo dietro da troppo tempo per immaginare un cambio radicale nei 12 mesi che portano a Rio. L’atletica italiana giura che questo è un punto di non ritorno, che alle Olimpiadi «si andrà in pochissimi, non in pochi e non è un caso che salvo esempi da applausi, le indicazioni migliori siano arrivate dai giovani». I cambi di generazione sono lunghi «molti saranno pronti per Tokyo 2020». 


In definitiva, se i risultati migliori di questo Mondiale sono il 4° posto di Ruggero Pertile nella maratona maschile (Pertile ha 41 anni), il 5° posto di Antonella Palmisano nella 20 km di marcia e l’8° di Daniele Meucci sempre nella maratona maschile occorre davvero che i vertici si mettano al lavoro il prima possibile. La crisi, del resto dura da anni: nelle ultime quattro edizioni dei Giochi l’Italia è salita sul podio appena due volte e non far parte dei 42 Paesi che a Pechino hanno conquistato almeno una medaglia è da brividi, soprattutto se teniamo conto che mancano meno di 11 mesi ai Giochi di Pechino. 


La Fidal deve sperare di recuperare gli assenti, come gli infortunati Alessia Trost nell’alto, Valeria Straneo nella maratona e i triplisti Fabrizio Donato e Daniele Greco, reduce però da due infortuni (era necessario portarlo agli Europei lo scorso anno?); occorre poi che la stessa Federazione torni ad essere fulcro direttivo della vita degli atleti, attualmente fin troppo liberi di organizzare la propria preparazione attraverso i loro allenatori, i quali devono solo coordinandosi con Magnani. C'è anche il discorso qualità: ad oggi il miglior velocista azzurro, Jacques Riparelli, ha corso i 100 metri in 10.41. Solo in 12 sui 56 partecipanti alle batterie hanno fatto peggio.

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