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24 agosto 2015. Bolt, l'atletica ha ancor il suo Re


Usain Bolt torna ad essere l'incontrastato - o quasi - re dell'atletica, confermandosi il più forte velocista dell’era contemporanea e prolungando il suo regno sicuramente fino ai prossimi Giochi di Rio. Una finale da sogno che vogliamo rivivere e che resterà negli annali.
A Pechino, dove conquistò il suo primo titolo olimpico sette anni fa, Usain Bolt ha messo a segno un'impresa eccezionale: prima di tutto va detto che non era certamente al top della forma, essendo reduce da infortuni (ha pur sempre compiuto 29 anni) e perché Gatlin sembrava davvero imprendibile. Eppure il terzo titolo mondiale (dopo Berlino 2009 e Mosca 2013, a Daegu 2011 fu protagonista della celebre partenza falsa) e l'11° podio (uno in più della leggenda Carl Lewis) sono stati suoi.
Una vittoria non solo di gambe, quella di Bolt. Si alza bene dai blocchi, non lascia troppi metri a Gatlin e sul lanciato lo va a riacciuffare mentre l’americano si scompone negli ultimi 20 metri. Uno spettacolo arricchito da due record: è stata la prima finale corsa da 9 atleti, essendo in gara due ottavi  Bingtian Su e Jimmy Vicaut. Ma anche quella che ha visto la partecipazione di ben quattro sprinter che nella loro carriera sono stati squalificati per doping. Ad iniziare proprio da Gatlin, risultato positivo al testosterone nel 2006 ed escluso dalle competizioni per 8 anni (poi ridotti a 4) perché recidivo essendo già stato fermato per uso di anfetamine; per proseguire con Tyson Gay, Asafa Powell e Mike Rodgers. Nel 2014 il giamaicano venne fermato per sei mesi dall’Usada per la positività a uno stimolante presente anche negli integratori da palestra: sei mesi di squalifica retroattiva con la cancellazione di tutti i suoi risultati a partire dal 21 giugno 2013. Gay saltò invece i campionati mondiali di Mosca 2013 a causa di uno stop di un anno che gli costò anche il contratto di sponsorizzazione con Adidas. La positività dell’altro americano risale invece all’agosto 2011, quando fallì un test anti-doping: Rodgers – che all’epoca si trovava in Italia – venne fermato per nove mesi perché positivo a uno stimolante proibito e si difese dicendo di aver solo bevuto una bevanda durante una serata trascorsa in un locale. Lo smentirono le controanalisi. 
In semifinale Usain si era raccomandato al cielo prima di partire; un avvio sofferto, poi è riuscito quasi a perdere un appoggio fra i terzo e il quarto contatto con il terreno, come se la gamba destra non lo reggesse. Il suo fisico ha ondeggiato per un attimo, ha perso terreno; il cinese Su, lo statunitense Bromell e il nuovo canadese De Grasse, viaggiavano all’unisono. Poi Bolt li ha raggiunti e superati di un soffio, ma con 9"96 è stata una magra consolazione. Lui stesso scuoteva la testa sconsolato.
La vittoria di Bolt, per questo, fa bene ad uno sport sempre più travolto dal doping, la cui federazione è oltretutto fresca protagonista di un cambio al vertice della Federazione Internazionale. Il giamaicano è vera e propria icona di tutta l’atletica leggera, è l'uomo pulito che l’ha rivoluzionata, resa mediatica e sempre più affascinante. Al contrario Justin Gatlin paga la tensione dello scontro diretto, soffre la testa e la forza di nervi del Campionissimo giamaicano. Lo statunitense, dopo una stagione da dominatore e dopo due turni eliminatori in cui aveva sbalordito, si deve arrendere in 9.80: aveva corso più veloce per ben tre volte nel 2015.

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