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Materiale Didattico

1976 - 1992


Montreal 1976

Le Olimpiadi di Montreal furono caratterizzate da un incredibile barriera protettiva innalzata contro eventuali attacchi terroristici e da un notevole numero di defezioni e boicottaggi politici: si era ritirata Taiwan, alla quale era stato vietato di potersi presentare come unica «Repubblica di Cina», l’Iraq e una decina di paesi africani, in segno di protesta nei confronti della partecipazione della Nuova Zelanda (accusata di avere rapporti sportivi coi razzisti sudafricani). Quasi «priva di un cerchio», l’Olimpiade iniziò il 17 luglio; la maggior parte dei 6028 atleti partecipanti (92 nazioni) aveva perso lo «spirito olimpico». La cerimonia d’apertura, seguita da un miliardo di telespettatori in tutto il mondo, fu caratterizzata, più che dalla lettura della formula olimpica da parte della regina Elisabetta d’Inghilterra, dalla scelta di fare accendere il fuoco nel tripode da due tedofori, uno anglofono e uno francofono, simboli più o meno consapevoli di un paese, il Canada, dalle due anime non ancora del tutto conciliate tra loro.

Il trio URSS, USA e DDR si confermò dominatore assoluto dei Giochi, rastrellando 309 delle 575 medaglie in palio; la partecipaizone italiana fu fallimentare, con appena 2 titoli olimpici, il minimo storico dal 1908. Klaus Dibiasi, nei tuffi dalla piattaforma, ottenne il terzo oro olimpico consecutivo. Eroina dei Giochi fu la romena Nadia Comaneci: quindicenne, 1,56 m di altezza per 39 kg di peso, con la sua grazia e la sua classe straordinaria seppe incantare pubblico e giudici nella ginnastica, ottenendo punteggi mai visti. Per ben sette volte arrivò al «10», cioè alla perfezione, conquistando 3 medaglie d’oro (concorso generale individuale, parallele asimmetriche, trave), 1 d’argento (concorso generale a squadre) e 1 di bronzo (corpo libero). Nell’atletica leggera il grande protagonista fu il cubano Alberto Juantorena (foto), soprannominato «El caballo», primo nella storia olimpica a vincere due prove massacranti come i «400» e gli «800 m piani»; sul doppio giro di pista migliorò anche il record mondiale, che apparteneva all’italiano Marcello Fiasconaro.


Mosca 1980
L’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica fornì lo spunto al mondo occidentale, capeggiato dagli Stati Uniti, per mettere in atto un clamoroso boicottaggio dei Giochi della XXII Olimpiade. Si registrò la defezione di 61 nazioni, compresa la Cina comunista appena riammessa dal CIO. Parteciparono 5217 atleti per 80 nazioni; i sovietici cercarono di riparare alla defezione degli USA gonfiando la partecipazione dei paesi del Terzo Mondo. Si finì per assistere, specialmente nell’atletica e nel nuoto, a gare prive di spessore tecnico con personaggi di basso profilo. L’Europa stessa si presentò con squadre prive degli atleti militari e una decina di nazioni, tra le quali l’Italia, durante l’interminabile cerimonia d’apertura, dirottarono i propri atleti in tribuna, lasciando sfilare in pista solo un cartello e il vessillo olimpico. 

Le gare di atletica furono prodighe di soddisfazioni anche per l’Italia, che raccolse 3 storiche medaglie d’oro (su un totale di 8). Il fatto sorprese piacevolmente, e non bastò a spiegarlo l’assenza di molti protagonisti per colpa del boicottaggio; i nostri 3 ori vennero in gare dove non mancavano certo i concorrenti agguerriti, e le defezioni non parevano determinanti. Il titolo olimpico più sofferto fu quello di Pietro Mennea (foto), che si presentò a Mosca forte del primato mondiale dei 200 m (19"72) stabilito nel 1979 a Città del Messico, in occasione delle Universiadi. Ma le cose non si misero bene: nei «100 m» (distanza su cui era sempre stato meno forte) il barlettano fu eliminato in semifinale. Ma nei «200 m», al termine di una gara in salita e di una rimonta strepitosa, conquistò un oro memorabile. Fu oro nell’atletica anche per Sara Simeoni, nel «salto in alto» e per Maurizio Damilano nella «20 km» di marcia.


Los Angeles 1984


Ai Giochi di Los Angeles si consumò la vendetta dei sovietici nei confronti degli Stati Uniti; l’8 maggio, poco dopo lo sbarco della fiamma olimpica a New York, l’URSS annunciò la sua rinuncia ufficiale, motivata ritenendo pericolosa la partecipazione dei propri atleti  in un paese dichiaratamente anti-sovietico comandato da un presidente (Ronald Reagan) che definiva la Russia «il regno del male». Alla decisione russa si affiancarono 17 paesi, tra cui il colosso Germania Est e Cuba, Bulgaria, Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia. Oltre a ciò le Olimpiadi di Los Angeles sono ricordate per essere state le prime ad essere interamente finanziate dagli sponsor e dai diritti televisivi, grazie all’opera dell’organizzazione capeggiata da Peter Victor Ueberroth, ex agente di viaggio. Parteciparono 6797 atleti per 140 nazioni ma il livello tecnico risentì dell’assenza degli atleti dell’est. Ne approfittò l’Italia che, forte di una squadra di 311 elementi, conquistò 32 medaglie, di cui ben 14 d’oro, piazzandosi al quinto posto della classifica generale. 3 ori giunsero dalla scherma, 1 dal canotaggio, 1 dal ciclismo, 3 dall’atletica (Alberto Cova, «10.000», Gabriella Dorio, «1500 m», Alessandro Andrei «lancio del peso»). Il personaggio simbolo dell’Olimpiade del 1984 fu lo statunitense Carl Lewis (foto), che a quasi un cinquantennio di distanza fece rivivere il mito di Jesse Owens , ripetendone esattamente lo straordinario poker di vittorie: «100» e «200 m» piani, «salto in lungo» e staffetta «4 X 100 m». A rendere ancora più suggestivo il confronto tra i due campioni contribuiva il fatto che entrambi erano originari dell’Alabama ed entrambi avevano realizzato la loro memorabile impresa all’età di ventitré anni. Il medagliere fu dominato dagli USA: 83 medaglie d’oro, contro le 20 della Romania, seconda classificata.


Seul 1988

A Seul le Olimpiadi riacquistarono finalmente la loro dimensione ecumenica (vi rinunciarono solo poche nazioni, tra cui Cuba, Etiopia e Repubblica Popolare di Corea); coreani del nord e del sud gareggiarono sotto un’unica bandiera e ci fu una partecipazione record di 8465 atleti divisi per 159 nazioni. Le Gare si svolsero dal 17 settembre al 2 ottobre in 25 sport diversi. Nonostante un’organizzazione tecnologica eccellente, con largo sfoggio di tecnologia e comunicazione, emerse, in tuttala sua gravità, il problema della diffusione della pratica del doping tra gli atleti, venuto clamorosamente alla luce in occasione della squalifica del velocista Ben Johnson, vincitore e primatista dei «100 m». Oltre al problema doping fece scalpore lo scandaloso arbitraggio agli incontri di pugilato, che favorì gli atleti di casa; il fondo fu toccato nella finale dei superwelter, quando il sudcoreano Park Si-Hun, dopo essere stato sovrastato per tre riprese dallo statunitense Roy Jones, e avere rischiato più volte di finire KO, venne dichiarato vincitore fra il tripudio del pubblico sugli spalti e le vane proteste degli americani e degli spettatori neutrali. 

L’URSS e la Germanid dell’Est poterono fare incetta di medaglie, racimolando, rispettivamente, 133 e 99 medaglie vinte (un terzo del totale a disposizione). Gli Stati Uniti e la Germania Ovest si attestarono in terza e quarta posizione nel medagliere per nazioni. L’Italia scivolò in tredicesima con 6 ori (lo stesso bottino di Francia e Romania), tra i quali quelli dei fratelli Abbagnale nel canottaggio e di Gelindo Bordin (foto) nella maratona; il suo bacio alla pista al termine della massacrante prova, resta il simbolo di queste Olimpiadi.

Barcellona 1992


La XXV Olimpiade, fortemente voluta in Spagna dal presidente del CIO Samaranch, fece registrare una notevole serie di record: numero dei concorrenti (9367), delle nazioni in gara (169), degli accreditati (113.402), dei volontari coinvolti nell’organizzazione (101.200), dei telecronisti, cameraman e tecnici (9200) e delle tv collegate (150). Questo nonostante il movimento olimpico avesse dovuto affrontare le conseguenze degli avvenimenti storici che avevano appena sconvolto la geografia politica dell’ormai ex impero sovietico e di parte dell’Europa orientale (la stessa Unione Sovietica, frantumata in una miriade di repubbliche autonome, si presentò riunita per l’ultima volta sotto la sigla «CSI»). I Giochi si svolsero dal 25 luglio al 9 agosto; gli ex-sovietici vinsero 45 medaglie d’oro, 38 d’argento, 29 di bronzo. Il secondo posto in graduatoria fu occupato dagli Stati Uniti, con 37 medaglie d’oro, 34 d’argento, 37 di bronzo. La rappresentanza azzurra tornò a casa con 6 medaglie d’oro, 5 d’argento e 8 di bronzo, risultato non eccezionale considerando i 322 elementi presenti in squadra. Tra le vittorie italiane, quella della pallanuoto maschile, allenata da Ratko Rudic e quella di Giovanna Trillini, nel fioretto individuale e a squadre. Argento per i fratelli Abbagnale. Nel torneo di basket, la partecipazione al torneo degli Stati Uniti con il cosiddetto «Dream Team» (nella foto Pippen, Joardan e Drexler), composto dai più grandi campioni NBA dell’epoca dimostrò come le Olimpiadi avessero definitivamente messo da parte il dilettantismo, vero o preteso che fosse.


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